Quando il torbido Maliesingel si asciuga nella Kalsa

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“Youssef osserva il cadavere gonfio e si guarda intorno. È l’imbrunire e si vede poco. Sulla strada che costeggia il canale alcune finestre sono illuminate. Una luce proviene da un battello ormeggiato a pochi passi. Piove da una settimana. La pioggia è sottile, continua, spazzata dal vento incessante, la temperatura sette gradi sopra lo zero. Nel canale Maliesingel la draga a benna mordente « IHC Merwede » è ferma sui pali di ancoraggio.”

Come tante cose, anche in questa storia gli eventi più grandi e oscuri hanno inizio nei vicoli che tutti noi conosciamo, quelli dietro l’angolo, intorno alle nostre case, nella nostra via. E’ in questo contesto che Antonio Pagliaro ci accompagna, intessendo una fitta trama tra i torbidi canali della olandese Utrecht e i non meno oscuri anfratti della Kalsa, a Palermo. Dentro questa maglia, che si tende tra questi luoghi, rimangono intrappolati come pesci in fuga, destinati a sentire la mancanza d’aria, poliziotti, giornalisti, vittime e carnefici. Proprio dalle acque scure del canale Maliesingel, all’inizio della storia, emerge un corpo e richiama immagini potenti, come il velo della realtà che si squarcia mostrando qualcosa di straordinario sotto al perfettamente ordinario. Come tra le acque di un fiume cittadino che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, che potrebbero nascondere un’infinità di segreti, è proprio qui che dobbiamo cercare, sotto la patina semitrasparente dell’ordinario, che lascia intravedere qualcosa, abbastanza per capire e non troppo per esserne certi. In questa differente area dello spettro della luce, in questo sottobosco malcelato, opera anche il crimine organizzato, soprattutto la mafia – nostra fedele ombra italiana, che ci segue ovunque. Un’ombra che si estende oltre i vicoli di Palermo, che raggiunge qualsiasi posto – basta solamente che la luce che la getta raggiunga la giusta inclinazione.


A Palermo, dove “basta litigare con la persona sbagliata per condannarsi a morte”, dove ogni parola va misurata, pesata e contemplata, si connettono i fili dell’intreccio olandese, quando l’indagine rimbalza da Utrecht ai nostri vicoli. Qui parte il punto di vista di un altro personaggio, che non è un poliziotto ma qualcuno che sta dall’altra parte dell’indagine, il sicario detto Franz il Tedesco. Il suo è forse il punto di vista più interessante, con i suoi strafalcioni grammaticali e culturali, il suo modo di fare semplice ma cauto. Non è necessariamente un personaggio negativo, quanto forse una vittima culturale della mafia, come ce ne sono tante, perché la mafia non è qualcosa a cui si aderisce, è qualcosa che ti cresce addosso, che ti accompagna per tanto tempo, che si inocula dentro le tue abitudini, il tuo modo di parlare, il tuo modo di vedere. La sua è una storia di piccola e grande mafia, il racconto di un altro pesce intrappolato in una rete troppo grossa, dalle quali maglie difficilmente si esce tutti d’un pezzo.

“Il bacio della bielorussa” è un resoconto sul male, che va oltre il male, come fossero scatole cinesi sempre più scure, fino al punto da non distinguerle più nel buio. La rete in cui si dibattono i protagonisti è qualcosa di reale, che ha i suoi risvolti nella storia ma che il lettore italiano sentirà sicuramente familiare – forse ne è anche stato sfiorato nella vita quotidiana. Sebbene il nucleo della trama, l’interno dell’ultima scatola cinese scura, riveli molto di più dell’apparenza, è il percorso che facciamo per giungervi che fa riflettere. Sono i dettagli a rendere speciale la narrazione, che si incastrano nelle varie dimensioni, giocando soprattutto tra le differenze dei narratori, non solo di visione della vita, ma anche di mondi diversi in cui vivere.

“Poche automobili percorrevano le strade di Utrecht. Era ora di cena, quando gli olandesi si chiudono in casa, accendono i televisori e lasciano le strade della città deserte, bagnate, silenziose.”

Così, scorci del diverso modo di fare italiano rispetto alla metodologia olandese, balzano agli occhi proporzionalmente al modo in cui sono buttati con nonchalance in mezzo al testo. Come quando l’ispettore van den Bovemkamp vuole localizzare l’esito di una denuncia fatta in Olanda e inoltrata in Italia e scopre che, nel momento in cui passa il confine italiano, se ne perde traccia. O lo stupore del sergente De Groot quando il commissario Chiaramonte di Palermo gli conferma che nella commissione antimafia ci sono degli indagati per mafia. O gli inutili tentativi di van den Bovenkamp di far appassionare Chiaramonte all’elfsteden tocht, o di procurargli una bicicletta per gli spostamenti a Utrecht – entrambe cose impensabili per un palermitano.

“Erano le otto del mattino dell’undici maggio. Da un’ora circa pioveva, una pioggia estiva e violenta. I palermitani si erano rifugiati nelle auto, immobili nel traffico, e suonavano i clacson.”

Non solo luoghi comuni, ma piccoli dettagli, come la paura di Chiaramonte nel constatare che gli italiani, all’estero, sono dappertutto. Non è solo un cameriere a suscitargli terrore, ma l’idea stessa che per quanto possa andare lontano da Palermo, ne troverà un pezzo ovunque, anche dove non pensava potesse attecchire. E quel pezzo, come sempre, non puoi mai sapere in che mosaico va ad adattarsi. I diversi punti di vista del romanzo sono brillantemente rappresentati con soluzioni uniche. Franz parla in prima persona, come se ci fosse la necessità di far capire l’idea che sta dietro la filosofia e la cultura della mafia.

“Prima che mi innamoro io si devono asciugare le balate della Vucciria.”

I dragatori del Maliesingel vedono il mondo in modo semplice, monotono come il loro lavoro – punteggiatura stretta e descrizioni secche. Il loro punto di vista è distaccato come lo vorrebbero essere loro quando pescano un cadavere dal canale. In generale, non ci sono frasi ad effetto, giri di parole poetici. Tutto è così, scorrevole e secco, coronato da piccoli ma significativi dettagli quando serve.


“Il bacio della bielorussa” è una storia amara, come ogni noir che si rispetti, dove forse c’è poco da capire e molto da accettare, o rifiutare. È la vita vista in modo diverso, da persone diverse, accomunate da un paio di cadaveri e l’idea che niente è ciò che sembra, soprattutto se decidiamo di non sondare quelle acque scure che, ogni giorno sotto i nostri occhi, ci nascondono di giorno ciò che inghiottono la notte.


Il bacio della bielorussa
di Antonio Pagliaro
UGO GUANDA EDITORE
304 pp.
2015

ISBN 978-88-235-1197-2

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